Nuovi macchinari, nuovi rischi sul lavoro.
Alle soglie della prima rivoluzione industriale, la medicina del lavoro era pressoché totalmente contenuta nel “De morbis artificium diatriba” di Bernardino Ramazzini edito a Padova nel 1713. Ramazzini non poteva immaginare che, 80 anni dopo, la gran parte delle attività artigianali descritte sarebbe scomparsa.
La creazione della macchina a vapore e lo sviluppo dei primi processi industriali causò nuove patologie mai viste prima.
Ramazzini non ebbe modo di vedere la pneumoconiosi dei minatori del carbone, né i numerosi casi di elettrocuzione avvenuti con la comparsa dell’elettricità durante la seconda rivoluzione industriale, né le leucemie da benzene comparse con i combustibili fossili della terza rivoluzione industriale.
I nuovi rischi, oggi: la Green Revolution
Con la rivoluzione digitale (e sociale e industriale) in divenire, sarebbe lecito aspettarsi una rivoluzione verde, necessaria alla sopravvivenza del nostro stesso pianeta. Dove “verde” non significa privo di rischi per l’uomo, ma per la natura.
E’ evidente che oggi i processi cambiano così rapidamente da mettere in difficoltà sia i legislatore che i professionisti della sicurezza, che molto spesso si trovano a dover affrontare scenari impensabili sino a pochi anni fa.
E’ il caso della raccolta dei rifiuti porta a porta: solo pochi anni fa la raccolta era indifferenziata e totalmente automatizzata. I rischi erano limitati alle vibrazioni a corpo intero degli autisti dei camion raccoglitori. Con il nuovo sistema “verde” invece i rischi per i lavoratori si sono moltiplicati esponenzialmente. In breve tempo siamo passati dalle vibrazioni a corpo intero degli autisti e da un limitato rischio biologico ad una movimentazione manuale dei carichi piuttosto ingente, con un rischio biologico almeno raddoppiato durante la raccolta di alcuni tipi di rifiuti (per non parlare del rischio di sviluppare gonalgie, salendo e scendendo dai camion durante la raccolta).
Una rivoluzione verde, inoltre, prevede anche un’importante decentralizzazione dei processi che, per quanto possano essere in parte automatizzati, espongono comunque a numerosi fattori di rischio. Basti considerare che, durante un processo di decentralizzazione, si devono sviluppare numerosi centri periferici che producano beni in loco (sebbene in quantità minore) per un determinato territorio.
Un aumento della numerosità di queste strutture produttive implica un aumento della difficoltà di gestione e controllo della salute e della sicurezza da parte del legislatore e della polizia giudiziaria. Inoltre, all’aumento dei centri produttivi corrisponde una diminuzione del prodotto per ogni centro (che appunto deve soddisfare i bisogni di un territorio medio-piccolo): ciò implica una diminuzione, a livello assoluto, delle risorse da destinare a salute e sicurezza.
In questo scenario, la domanda quindi sorge spontanea: c’è il rischio che insorgano patologie attualmente messe all’angolo dai processi di protezione e prevenzione?
A livello storico, episodi del genere sono già avvenuti. Montebelluna, provincia di Treviso: una zona produttiva d’eccellenza per le scarpe sportive. Tra gli anni ’70 e ’80, le grandi aziende non riuscivano a tenere testa alle richieste del mercato. Per questo motivo, molte subappaltarono a piccoli artigiani o a famiglie locali alcuni processi produttivi, come ad esempio l’incollamento della suola della scarpa.
Immaginate migliaia di piccolissime unità produttive che incollavano le suole utilizzando collanti a base di Cloruro Vinil Monomero (CVM), distribuite su un vasto territorio, senza un sistema di protezione del lavoratore. Una rete impossibile da controllare in un periodo in cui la camera di commercio praticamente non esisteva e l’attività avveniva nel soggiorno di casa o addirittura vicino al camino (ndr: il solvente del collante era spesso benzene!!). E anche se fossero stati registrate, le unità erano troppe per il servizio di protezione ambientale degli ambienti di lavoro (SPISAL) per riuscire a controllarle tutte. Anni più tardi abbiamo assistito alla comparsa massiva di angiosarcoma epatico nello stesso territorio. Il danno ormai era fatto ed il colpevole lo conoscevano tutti: il CVM.
La valutazione del rischio come prevenzione
Un nuovo processo tecnologico, sociale e politico, implica sempre dei nuovi potenziali rischi che devono essere affrontati con una attenta valutazione dei cambiamenti. Non bisogna permettere cogliere impreparati i lavoratori, il datore di lavoro ed i responsabili della sicurezza. E’ chiaro che in questo momento storico assistiamo all’avvio di numerosissimi nuovi processi di questa necessaria rivoluzione verde: bisogna essere consapevoli che questi cambiamenti accadranno molto in fretta, ed è per questo che è necessario porre la massima attenzione alla valutazione dei rischi nelle nostre aziende.